Serving the servant. Ricordando Kurt Cobain by Danny Goldberg

Serving the servant. Ricordando Kurt Cobain by Danny Goldberg

autore:Danny Goldberg [Goldberg, Danny]
La lingua: ita
Format: epub
editore: HarperCollins
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


9

ATTENTO A CIÒ CHE DESIDERI

Kurt disse più volte che l’improvviso successo di Nevermind era stato una sorpresa anche per lui. Alcuni aspetti collaterali della celebrità lo disorientavano, e a volte rimpiangeva che non esistesse un corso di base per fare la rockstar, eppure ho la sensazione che abbia pianificato i passi successivi dei Nirvana con la stessa lucidità che aveva dimostrato nella musica. Mentre a livello personale stava facendo i conti con i dolorosi risvolti fisici ed emotivi della disintossicazione e con la gravidanza di Courtney (che invece lo emozionava molto), a livello artistico continuava a riflettere sul suo ruolo nella cultura punk e sul fatto che Nevermind avesse ampliato in un batter d’occhio il campo delle sue possibilità. Era determinato a restare con un piede nella cultura indie e l’altro in quella mainstream come nessuno aveva mai fatto prima di lui.

Ciascuno a modo suo, tutti i membri della band furono travolti dal successo. Dave ha raccontato dei suoi attacchi di panico, e Krist aveva l’ulteriore problema, coi suoi quasi due metri d’altezza, di essere il più riconoscibile dei tre. Subito dopo l’uscita del video di “Smells Like Teen Spirit”, mi disse: «Mi riconoscevano ovunque andassi. Ho iniziato a fare dei sogni in cui ero nudo: i classici incubi da ansia». Ammette di essere rimasto entusiasta quando Tom Hamilton, il bassista degli Aerosmith, lodò pubblicamente le sue linee, ma in quel periodo dichiarò anche al giornalista spagnolo Rafa Cervera: «Siamo stressati, quel che sta accadendo ci fa venire un’angoscia pazzesca. Siamo solo dei ragazzi della classe operaia, e di sicuro non inizieremo ad amare tutti quelli che finora ci hanno ignorato. ’Fanculo, non rovineremo tutto diventando avidi e materialisti».

«Venivamo dalla controcultura, e invece della stampa mainstream leggevamo le fanzine. Ci sentivamo degli outsider e poi di botto siamo diventati la band numero uno al mondo» riflette oggi. Ma aggiunge anche che i Nirvana erano determinati a «mostrare a tutti che non erano dei venduti, anzi: erano lì per promuovere una rivoluzione».

Il ruolo che Kurt aveva nel gruppo contribuì a puntare ulteriormente i riflettori su di lui: in fondo, ricorda Krist, «era il leader, il cantante e l’autore delle canzoni». Sulla stampa mainstream qualcuno mise in giro l’idea, prevedibile quanto assurda, che Kurt dovesse essere una specie di portavoce della sua generazione. E anche tra i fan più smaliziati ci sono cascati in molti.

Una pressione mediatica che a lui doveva sembrare surreale, così come lo era stata per gente come Dylan, Lennon e Bowie. C’erano periodi in cui non voleva essere riconosciuto in giro, e a volte indossava occhiali finti e altri stratagemmi del genere per camuffarsi. «Ogni artista vorrebbe essere libero, ma il successo non glielo consente» mi ha detto Montgomery. «Anche se la Geffen e la Gold Mountain si impegnavano al massimo per garantire alla band il completo controllo sulla loro carriera, non c’era nulla da fare quando MTV o Rolling Stone insistevano per ottenere qualcosa da loro».

Ma per molti versi la celebrità non cambiò Kurt. Non si mise



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